Le ragioni per cui le donne – e soprattutto le madri – hanno
maggiore difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro sono tante, in
primis la mancanza di asili nido e altre strutture per l’accoglienza dei
bambini. Per questo le mamme sono costrette a fare le acrobate per far fronte
alla necessità di lavorare senza sacrificare o rinunciare del tutto alla
famiglia.
Già perché per le donne lavorare è importante. E non solo
per essere indipendenti. E’ un motivo di soddisfazione personale. Di orgoglio.
In Italia meno di una donna su due ha un posto lavoro, ma
secondo Bankitalia questo dato non dipende dall’essere madri. Al contrario,
secondo Palazzo Koch, e questa è una grande novità, anche in Italia si possono
fare bambini senza problemi e senza rischiare di abbandonare l’ufficio. Ma c’è
una prova del fuoco da superare: i primi due anni del piccolo. In questo
frangente infatti si riducono le possibilità di avere un impiego. Dopo i 24
mesi, invece, avere un figlio può fare addirittura da sprone.
Sempre dalle analisi di Via Nazionale, c’è un altro dato
importante, anzi importantissimo, che emerge: le mamme, per essere tali, spesso
pagano un prezzo carissimo che è la carriera.
Insomma la maternità, pur non essendo un ostacolo
all’occupazione, incide sulla qualità e rimane un fardello per chi aspira ad
una crescita professionale.
Così le donne che decidono di procreare, indipendentemente
dal titolo di studio, spesso sono costrette a rinunciare non solo alla tanto
agognata carriera, ma anche alla posizione economica. Il gentil sesso, infatti,
a parità di mansione guadagna meno!
La ricerca è stata condotta da due economiste della Banca
d’Italia, Concetta Rondinelli e Roberta Zizza, che hanno sostanzialmente
ribaltato la comune concezione secondo cui l’essere mamma danneggia la donna al
lavoro.
Dalla ricerca, che si basa sull’indagine dei bilanci delle
famiglie della Banca d’Italia (2008), risulta che, a parte i primi due anni
durante i quali i figli hanno un impatto negativo sull’impiego nel lungo
periodo ( e i due anni si moltiplicano per il numero di figli!), le difficoltà
svaniscono e gli effetti della maternità, “diventano positivi (staticamente
azzerati)”. Insomma, con il tempo “la presenza di bambini sembra avere per le
madri un leggero effetto di spinta verso il mercato del lavoro”.
Per le donne italiane conciliare famiglia e lavoro è
un’impresa. Lo conferma un’indagine di Eurostat: in Italia lavora il 59% delle
donne con un figlio, rispetto a una media Ue del 71,3%. Se i figli sono due,
poi, la percentuale cala al 54,1 contro la media del 69,2 dell’Europa. In
generale l’allarme arriva anche dal rapporto dell’agenzia dell’Onu
specializzata nel promuovere la giustizia sociale (Ilo, ndr) – “Tendenze
globali dell’occupazione femminile 2012″ – secondo cui la crisi ha accentuato
il divario di genere sul fronte della disoccupazione con un tasso femminile nel
2012 più alto dello 0,7 per cento rispetto a quello maschile.
“Sapevate che i datori di lavoro potrebbero risparmiare (e
quindi guadagnare) migliaia di Euro, facendo portare ai genitori i bambini al
lavoro? “
Il nuovo modo di fare business in un’economia in difficoltà
è quello di rendere i meccanismi aziendali il più efficienti possibile.
Tra le varie possibilità c’è una soluzione semplice che, a
fronte di un investimento iniziale ridotto per l’azienda, (si parla del 25% di
una sola mensilità! ) può incentivare i dipendenti e permettere alla fine di
migliorare il business dell’azienda stessa.
E’ stato calcolato che si potrebbe arrivare ad un risparmio
di diverse migliaia di euro l’anno, sia per il datore di lavoro e per lo stesso
lavoratore, gestendo diversamente l’accudimento dei bambini in età pre scolare.
Una soluzione magica? No, semplicemente consentendo ai
genitori di portare i bambini al lavoro.
In Italia il costo per tenere il bambino (a tempo pieno) in
un asilo varia da 5000 ai 1000 Euro/anno
Quindi i genitori che lavorano spendono sino al 70% del loro
stipendio per coprire questi costi. Ma perchè una mamma è disposta a fare ciò
(lavorando praticamente a gratis?) La risposta è molto semplice, una donna che
si è costruita nel tempo una propria carriera professionale è poco propensa a
mollare tutto con l’arrivo di un figlio (i) ed è quindi disposta a continuare a
lavorare, con mille difficoltà, perdendo quasi tutto il compenso in denaro.
Una possibile soluzione potrebbe essere quindi quella di
portare i bambini al lavoro
Dall’ America arriva il dato
sorprendente che vi è un evidente beneficio finanziario per entrambe le parti
interessate, in particolare per le aziende che permettono un programma di
Welfare con “i bambini al lavoro”.
Zutano è un produttore di abbigliamento e giocattoli per
bambini e ha permesso, negli ultimi sette anni, al personale dipendente, di
portare con loro i bambini al lavoro (per il primo anno di vita)
Secondo Michael Belenky, presidente della società, fa tutto
parte di uno sforzo per permettere alle donne e agli uomini, di continuare il
proprio stile di vita anche dopo l’arrivo dei figli
Il programma è stato ispirato quando Belenky e sua moglie,
che hanno fondato l’azienda, avuti i bambini, si sono resi conto che ci doveva
essere un modo per conservare le competenze in azienda e permettere loro di
vivere la loro vita da genitori allo stesso tempo.
Secondo Belenky, il riuscire a mantenere le dipendenti
chiave è stato fondamentale per aumentare la produttività in azienda. “Abbiamo
scoperto che quando i l’azienda è vicina alle necessità dei propri dipendenti,
questi hanno un rendimento migliore sul posto di lavoro e sono felici di essere
qui. Le madri che hanno la possibilità di lavorare al fianco dei loro bambini
sono più felici e maggiormente in grado di concentrarsi sul proprio lavoro ”
Allora, perché la filosofia aziendale di portare i bambini
al lavoro è così lenta a diffondersi nella mentalità comune? Secondo Susan
Seitel, presidente e fondatore di risorse WFC, un’organizzazione dedicata allo
sviluppo di posti di lavoro di supporto, molti datori di lavoro credono
erroneamente che se ai dipendenti è permesso di portare i bambino al lavoro,
non si concentreranno sulle loro mansioni.
Lo stesso Belenky riconosce che un programma di successo
richiede una cultura di sostegno interna
“Il giorno che il bambino non sta bene, il genitore può
effettivamente tendere a non svolgere correttamente il proprio lavoro. Ma nel
momento in cui la situazione si sarà stabilizzata, tornerà a lavorare con
efficienza dopo poche ore. E’sicuramente più dannoso per l’azienda un genitore
distratto e in ansia per il proprio bambino quando lontano da lui..”
piano-c
Un’altra possibilità è quella di permettere alle proprie
dipendenti di lavorare in strutture concepite specificatamente al cobaby,
strutture che permettono alle lavoratrici e ai lavoratori di avere il
necessario per svolgere la propria attività ( scrivania, terminale, internet ) e
al tempo stesso tutto quello che può servire per i propri bambini li presenti
(culle, fasciatoi, poltrone per l’allattamento, ed eventualmente personale
dedito alla cura dei bambini)
A Milano è nato – con questo intento, Piano C uno spazio per
il coworking ( cioè più specialisti negli stessi uffici con utilizzo dinamico
degli spazi) e – prima realtà in Italia – munito di cobaby ( spazi e strutture
per I bambini portati al lavoro)
Piano C è nato proprio con questa filosofia, in modo da
permettere alla mamma (o al papà) di portare i propri bambini al lavoro, in
modo da essere sempre vicini a loro, ma al tempo stesso di avere la possibilità
di potersi dedicare serenamente al proprio lavoro.
In Piano C si possono incontrare i propri collaboratori o
eseguire dei meeting come poter preparare nella apposite cucina la pappa ai
nostri bambini quando hanno fame.
Molte aziende, all’idea di dipendenti che portano i bambini
al lavoro, potrebbero storcere il naso immaginando un vero e proprio incubo HR,
ma lo stesso Belenky sostiene che” non ci sono stati episodi di risentimento
degli altri dipendenti nei confronti dei genitori che hanno portato I bambini
al lavoro”.
Dal suo inizio, il programma Zutano ha “laureato” trenta
bambini. Belenky dice che ” i genitori partecipanti tornano dal congedo di
maternità prima, e rimangono più a lungo con la società” aggiungendo che il
programma presenta “un’opportunità fondamentale che è la più preziosa tra i
benefici che i loro dipendenti possono ricevere”.